Non sono di quelli che si vantano di “non capirci niente di politica”, è un’affermazione che non mi piace per principio, un tirarsi fuori per non prendere parte, e oltretutto al 80% mi sembra anche una dichiarazione volutamente insincera.
Di fatto, anche se ho le mie idee ben precise (scarsamente rappresentate ma questo è un altro conto) cerco di tenermi fuori dallo scontro più o meno ideologico e di mitigare sempre gli stati d’animo negativi e pessimistici che la situazione politica italiana invariabilmente mi fa scattare. La ritengo una questione di priorità, perché la mia modestissima ricerca spirituale ha sicuramente la precedenza rispetto alle mie opinioni politiche, e so che l’antagonismo, dovunque esso provenga, in definitiva è solo un intralcio alla nostra più vera realizzazione.
Tutto questo per dire che non mi sarei mai immaginato di postare taccuini politici su questo blog, né questo vuole esserlo del tutto, ma non posso proprio esimermi dal dire la mia.
La notizia, come direbbero i cronisti, è questa. Ieri, 20 marzo 2010, alla manifestazione del Popolo della Libertà, alcuni giovani manifestanti hanno sfilato con cartelloni raffiguranti le carte degli Arcani Maggiori dei Tarocchi Marsigliesi, con le facce di alcuni politici e personaggi noti incollate sopra. Si sono visti così, con sfoggio di grande inventiva, Il Matto-Di Pietro, La Morte-Bonino, Il Carro-Bertolaso e (sic) La Giustizia-Borsellino. Altri non ne ho visti, se ce n’erano, ma questi mi sono bastati. (Per inciso, non ero certo presente alla manifestazione, ho visto il video sul web).
Ritenendomi, a torto o a ragione, un pochino competente in materia, mi permetto di dire la mia sulla questione.
Attenzione a giocare con gli Archetipi, è materiale altamente aereo e mutevole.
Ogni Arcano è uno scrigno senza fondo di contenuti, e quelli apparentemente riconosciuti dalla maggior parte costituiscono solo lo strato superficiale. Prendiamo ad esempio il tanto vituperato Matto.
Il Matto è una carta che esprime una fortissima energia, la volontà determinata di andare avanti, contro tutto e tutti, non ascoltando il giudizio dell’umano consorzio, anche contro se stessi e la ragione. Il Matto prosegue forse spinto dal cagnetto che gli morde le terga, ma potrebbe anche essere che quel piccolo cagnetto rabbioso, strepitante, spelato, sta tentando di trattenere il Matto, che invece procede dritto per la sua strada, non facendosi influenzare da minacce o lusinghe.
È solo una delle possibili interpretazioni.
Il Carro. Detto anche Trionfatore, è sicuramente una carta abbinata al successo in ogni campo. Il giovane sul Carro è però preda di tutti i rischi causati dal cieco riconoscimento dei suoi simili, può diventare arrogante, spocchioso, incurante delle regole. Lui deve fare, non ha bisogno delle regole. Alcuni testi moderni individuano nel riquadro del Carro un elemento che riporta allo schermo televisivo. Una sovraesposizione mediatica, ipotizzo io? Una lente distorta che rende epiche imprese che, nella loro realtà, tali non sono ma semplicemente normali, in un paese civile?
Ipotesi.
La Morte. Raramente l’Arcano Senza Nome (la sua corretta denominazione nei Marsigliesi) è associabile alla morte fisica. Più spesso è segnale di un grande cambiamento, di una tabula rasa in vista di una ricrescita più rigogliosa, più vera. Significa eliminazione di sovrastrutture, rigenerazione, apertura al nuovo.
Sulla carta della Giustizia con la faccia del povero Borsellino non mi pronuncio, chi ha occhi per vedere e ancora una coscienza può giudicare da sé.
In sintesi, ragazzi non giocate con leggerezza con gli Archetipi. Non sono semplici buffe figure medievali, ma reti di energia che ci controllano e guidano i nostri passi. Se vi soffermaste a pensarci veramente (ma un compito tale può prendere una vita) comincereste anche ad intuire cosa vi spinge ad andare sotto quel palco, quale “Padre” state vedendo là sopra, quale rosso “Diavolo” che vi additano come nemico contribuisce a puntellare il vostro senso di identità, ed in generale le forze che usano ed abusano di voi.
Giù le mani dagli Arcani.
domenica 21 marzo 2010
ARCANI POLITICI
martedì 16 marzo 2010
I Tarocchi degli Sciamani
Il mazzo in questione costituisce l’ultima fatica sceneggiatoria del sottoscritto nel campo dei Tarocchi, campo in cui mi destreggio ormai da alcuni anni.
Tra i vari mazzi sceneggiati questo è il primo che segnalo pubblicamente sul blog… e fortuna che ho un blog!, dal momento che purtroppo è anche il primo mazzo in cui il mio nome non è apparso sul cofanetto, anche se, Deo gratias!, appaio sul librettino interno.
Superato il primo momento di stizza autoriale, ho preso questo come un segno a non perdermi dietro l’Ego e le vanità di questo mondo.
Comunque, il disappunto per questa inspiegabile dimenticanza (di solito la redazione de Lo Scarabeo è invece molto attenta) è mitigato dalla consapevolezza di aver collaborato con due giovani e bravissime artiste: Sabrina Ariganello e Alessia Pastorello (http://sabrinaealessia.blogspot.com/).
Dividendosi il lavoro tra disegni e colori, Sabrina e Alessia hanno dato vita ad un mazzo fresco e vibrante di energia, alzando un po’ il tiro rispetto alle mie derive ombrose (tendo sempre un po’ alla negromanzia, ma com’è?)
I Tarocchi degli Sciamani vogliono rappresentare il viaggio psichico di uno Sciamano moderno, che vive sì integrato in una metropoli (non importa quale, è la Città) ma la sua visione interiore rimane focalizzata su ciò che risiede oltre il velo delle illusioni, e mantiene un contatto naturale con la Madre Terra e con gli Spiriti Animali che ne sono i guardiani e araldi.
Che la saggezza degli antichi e moderni Sciamani ci guidi quindi, indipendentemente se comprerete o meno il mazzo, e che ognuno di noi, nel cuore più profondo dei propri sogni, possa incontrare il proprio Animale di Potere.
giovedì 4 marzo 2010
COME DIVENTAI UN CARTOGRAFO
Passeggiando nella Villa mi stavo perdendo nel mio gioco abituale, quello di seguire con lo sguardo il percorso delle nuvole all’orizzonte, al di sopra della sommità degli alberi, e decifrarne le forme scovando rivelazioni e somiglianze: volti conosciuti, frammenti di nudità, donne, cavalli e serpenti, e tutte le immagini che la mente, frenetica, disegna sull’incolpevole amorfità del vapore acqueo.
Mi piace soprattutto il modo in cui, nel tempo di una ventata, le tracce che pensiamo di aver colto si sfaldano e si perdono, in una metamorfosi continua e leggera, felice semplicemente di essere e di non avere senso alcuno. Credo che la nostra immensa inadeguatezza nei confronti dell’Universo si senta giustificata, in tali frangenti, da questa spontanea e insensata creazione, come se lo stesso Universo volesse mettere in mostra la propria abilità con la stessa petulanza del bambino che ha bisogno di un pubblico di adulti per mostrare quanto è bravo a far qualcosa.
Fu per questo che la mia coscienza registrò solo con colpevole ritardo la stranezza della situazione. In un pregevole intervento lo scrittore Julio Cortazar ha tratteggiato nella maniera tipicamente visiva dei sudamericani l’elemento dell’eccezionalità nei racconti. Prendendo in prestito le sue parole: scoprire in una nuvola il profilo di Beethoven sarebbe solamente inquietante se questo durasse una decina di secondi in più prima di smagliarsi in altre forme, ma se questo profilo permanesse fermo nel cielo, contornato da altre nuvole in eterno mutamento, allora ecco guizzare l’elemento del fantastico, o dell’orrore.
Non ci furono volti o animali favolosi, e nemmeno giganteschi occhi o diavoli alati, forse fu per questo che continuai a camminare normalmente, anche se ormai stavo già da qualche secondo fissando la linea frastagliata che si innalzava oltre gli alberi.
Gli sguardi sbalorditi di altri passeggianti e alcune esclamazioni trattenute mi costrinsero a fermarmi, e guardare.
Spesso, tra le immagini nelle nubi, avevo visto città arroccate su colline, e mi ero permesso di immaginare popoli vivere in quelle lontananze aeree, e signorotti delle altitudini scrutare tra i merli delle loro rocche di cumulonembi il mondo scorrere sotto di loro, lontano e inarrivabile, guardando perplessi le costellazioni notturne delle grandi città, in una sorta di cielo capovolto. Mai però avevo pensato che quelle città potessero prendere una forma, come quella che ora vedevo di fronte a me.
L’orizzonte consueto oltre la Villa, fatto dalla rassicurante linea di palazzi della città, interrotta solo dalla placida rotondità della cupola seicentesca, era stato stravolto, occupato da una montagna violacea, remotissima e assurdamente colossale. Il paesaggio si era mutato in una nuova forma, le nuvole erano diventate creste rocciose e monti, ricoperti da foreste e attraversati da fiumi e forse popolati da diverse creature, umane e animali.
Rimanemmo lì il tempo necessario perché la nostra consapevolezza accettasse quella strana visione, e poi cominciammo a scorgere lo sfilacciarsi delle vette, la montagna ridiventava lentamente nuvola, e stava tornando al suo cielo.
Da allora, dall’apparizione delle nuvole montagne, ho lasciato la mia vecchia professione e sono diventato un cartografo.
Non esco più per le mie lunghe passeggiate, preferisco passare il mio tempo in uno scantinato polveroso, dove altri cartografi come me disegnano su lunghi tavoli le nuove mappe.
Non dobbiamo misurare, o valutare o confrontare, niente di tutto questo. Il metodo scientifico è il nemico principale di un cartografo di nuvole, dal momento che nulla è ripetibile nella conformazione della nuova geografia aerea che attraversa i cieli del mondo.
Ogni mattina immaginiamo paesaggi e diamo a queste visioni una forma, disegnandole su nuove pergamene, sicuri che qualcuno dei nostri disegni coinciderà con qualche capriccio nembiforme, presente o futuro.
Siamo guidati dall’intuizione, dislocando città e villaggi, e possiamo quasi sentire sotto le nostre dita sporche di grafite il brulicare di quelle lontane genti, la monotonia di piccole vite inconcepibili.
Il mondo attuale si serve di noi per ritrovare un senso nella consuetudine di questa assurdità, ed ha inventato per noi un lavoro tedioso e assurdo, che siamo i primi a non capire, solo a svolgere.
Ma non me ne lamento, è diventato il mio lavoro, in fondo.
Mi dispiace solo che, da allora, non sono più riuscito a guardare il cielo. Mi limito a perdermi assorto nelle minuscole pieghe della carta ingiallita, decifrando possibili forme e disegnandole perché, mi dicono, l’unico modo per conoscere il cielo è quello di ignorarlo.