Prima di La Horde, la nouvelle vague horror
francofona provò a cimentarsi nel genere zombie con questa pellicola
molto interessante, se pur non pienamente riuscita.
La storia comincia in media res,
nel pieno dell’azione. Non c’è alcuna spiegazione sui motivi
dell’epidemia in corso, ormai tra le situazioni drammaturgiche
l’Apocalisse Zombie è assurta a icona, alla stregua del detective che
aspetta la femme fatale nel suo studio sorseggiando whisky o
dell’invasione aliena.
Marito e moglie,
entrambi medici, cercano scampo sulle nevi delle Alpi, accompagnati da
una soldatessa che si rivela pericolosa quanto gli “zombie”.
Questi
ultimi è improprio definirli tali perché sono del genere “28 giorni
dopo”, uomini ancora vivi ma infettati da un terribile virus che li
rende mostruosi, incredibilmente aggressivi e antropofagi.
La location è il primo punto di forza di questo film, impreziosita da un’eccellente fotografia.
Le
valli innevate e silenziose creano un perfetto fondale dove la minaccia
si percepisce da lontano, quasi come una vibrazione malevola,
annunciata da lontane urla inumane e dalle figure contorte e annerite
che corrono fuori dal bosco.
I due
protagonisti trovano temporaneo rifugio in una grande struttura
abbandonata, che non può non essere un omaggio all’Overlook Hotel di
Shining (e d’altronde il film abbonda di citazioni, Romero in primis).
Qui comincia la parte più interessante del film. L’uomo è stato infettato dal morbo. Entro tre giorni diventerà un “mutante”.
Una
storia ben riuscita è fatta essenzialmente delle decisioni che prende
un personaggio , con cui lo spettatore può entrare in empatia (che non
significa condividerle, anzi la maggior parte di volte negli horror ti
verrebbe da tirare qualcosa addosso ai protagonisti per la loro
incredibile capacità di scegliere sempre l’opzione peggiore).
È
comprensibile che la protagonista posticipi di volta in volta la logica
e inevitabile decisione, ovvero quella di uccidere il suo uomo e
liberarlo dalla maledizione del morbo, e si aggrappi disperatamente a
ogni più flebile speranza, tentando una difficile trasfusione, ad
esempio.
Intanto la sensazione di pericolo cresce: di fuori i mutanti che vagano e dentro la malattia che trasfigura il protagonista.
Qui si ha proprio la sensazione che il film arrivi ad un
bivio, e che purtroppo venga scelta la strada più ovvia e meno interessante. I protagonisti sono
bloccati, narrativamente c’era l’occasione di tentare strade
nuove, psicologiche, innovative. Invece sembra che regista e
sceneggiatori soffrano di debito d’ossigeno e scelgano l’opzione più
“tranquilla”, quella di inserire altre pedine nella scacchiera tanto per smuovere le acque immobili. E
purtroppo i piccoli “demoni ex machina” che irrompono sulla scena sono
costituiti da quanto di più stereotipato si possa pensare per dei
personaggi, a cominciare dalle loro facce banali.
A
questo punto il film corre sui binari già visti dello zombie movie, i
mutanti irrompono nell’hotel (era solo questione di tempo), la
protagonista diventa un’eroina combattente e tosta e guida la scena fino
all’abbastanza prevedibile epilogo.
Il film rimane comunque gradevole per un appassionato di zombie movie, peccato si respiri la sensazione di un’occasione mancata.
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